La fontana “di Gennaro” è citata per la prima volta nella guida di Messina del 1606 compilata dallo storico Giuseppe Buonfiglio e Costanzo. L’autore, nel suo itinerario virtuale dedicato alle vie principali della città, la individua: «Nell’entrare della Porta Imperiale» e con sintetica chiarezza così la descrive: «dove la via maestra viene à partirsi in dua, si vede il nuovo et bel fonte con la statua d’Aquario sedente sopra il Zodiaco, et nel vicino muro si leggono intagliati l’epitaffio, e i versi seguenti [ … ].»
Lo storico allude a una targa oggi scomparsa con incisi i nomi del Sovrano Filippo III e dei Senatori: Pietro de Puteo (del Pozzo), D. Giuseppe Stagno, Antonio Cesare Aquilone, Paolo Adornetto, D. Carlo Ventimiglia e Giov. Pietro Arena, che nel 1602 avevano provveduto a sistemare la “nuova fontana”.
L’elaborazione del motto in versi è una chiara indicazione meritocratica rivolta ai senatori responsabili dell’intervento di sistemazione.
La fontana non sembra aver registrato ingenti danni a causa del terremoto del 1908. Il monumento, dopo il sisma, è stato comunque smontato e accantonato nella spinata dell’odierno Museo Regionale di Messina. I numerosi pezzi e frammenti che componevano il complesso monumentale furono riconsegnati al Comune di Messina (in due lotti) con apposito verbale nel 1932. L’Uffìcio tecnico presentò per l’occasione un accurato rilievo topografico nel quale indicava la precedente posizione e contestualmente proponeva la nuova sede, giacché la configurazione planimetrica del sito antico era stata “modificata dal Piano Regolatore”. Dal disegno si evince che il monumento, benché disposto diversamente, si trovava poco oltre l’attuale ubicazione, tra la via Peculio Frumentario e via Bisalari. Richieste le dovute autorizzazioni per orientare la parte frontale della statua verso il corso Cavour, poiché rappresenta la più importante delle vie adiacenti, e una volta ottenuto il parere favorevole da parte del Ministero, l’opera sarà ricomposta dall’impresa Majuri Agostino “a perfetta regola d’arte”, come sottolineato nella nota predisposta nel 1932 da Ettore Miraglia “Direttore Reggente” del Museo Nazionale di Messina.
In realtà si è potuto constatare che il manufatto è stato oggetto di pesanti manomissioni, anche se non tutti addebitabili al primo intervento di collocazione. Dalla documentazione fotografica pubblicata nella guida turistica: “Messina artistica e Monumentale” del 1974 sono visibili i danni post bellici. La figura di Acquario non appare, comunque, ancora compromessa e offesa dalle attuali e aberranti integrazioni del piede sinistro e del braccio destro; aggiunte evidentemente realizzate alla fine degli anni Settanta. Risale forse allo stesso periodo l’incredibile quanto devastante iniziativa adottata per inserire a forza un tubo nell’ anfora frontale, operazione compiuta per assicurare un improbabile collegamento idraulico che di fatto evoca la triste immagine di un catetere infelicemente introdotto a ridosso degli attributi maschili che la bella statua ostentava.
L’osservazione ravvicinata della scultura consente di cogliere e analizzare particolari che si rivelano di non poco interesse.
La statua, posta su un basamento al centro di una vasca ottagonale in marmo rosa venato, rappresenta la personificazione dell’Acquario, antica costellazione attraversata dal sole dal 21 gennaio al 19 febbraio. La prestante figura maschile cavalca il globo segnato da una banda su cui sono finemente intagliati a basso rilievo i simboli dello zodiaco, tiene due eleganti anfore, una per ogni mano, e con orientamento contrapposto. Nella parte centrale della schiena è scolpita a rilievo una piccola stella particolare inedito quanto significativo. Sostiene il globo un plinto a sezione quadrilobata plasticamente segnato agli angoli da paffuti mascheroni infantili da cui zampillano quattro getti.
La stella a otto punte intagliata a basso rilievo nella schiena del giovane Acquario è probabilmente assimilabile all’insegna dell’Accademia dei Cavalieri della Stella. La fontana si trovava, infatti, proprio di fronte a Palazzo Brunaccini, sede nel Seicento della celebre Accademia neoplatonica. L’edificio con il suo elegante prospetto è ben visibile in un disegno della metà dell’Ottocento pubblicato da Giovanni Molonia. Il cenacolo formato da nobili cavalieri fu ufficialmente riconfermato, «con Licenza Reale», nel 1595, ma la sua origine era molto più antica. A riguardo il Buonfiglio precisa che «questa Congregazione trasse il suo nome dalla Stella d’Orione progenitore di Messina stellifìcato, et ammesso da Tolomeo nella tavola delle stelle fìsse nellasua settima distintione dell’Almagesto».
In ordine alla tipologia del soggetto va immediatamente rilevato che la rappresentazione del tema è espressa in termini allusivi e implica diversi livelli di lettura. Gennaio è intanto il mese consacrato a Giano «perché guarda da una parte l’anno precedente, e dall’altro quello che viene; cosa che viene espressa nelle due facce di Giano». Il Dio bifronte inaugurava le stagioni e per tale motivo il primo mese dell’anno: Ianuario o Ianuaris ha derivato il suo antico nominativo dalla stessa radice dal nome di questo Nume: Iano o Ianus. Pertanto la denominazione “Fonte di Iannò” è stata correttamente indicata e riportata anche dal Buonfiglio e Costanzo nei titoletti a margine della sua guida, l’assimilazione tematica spiega anche il motivo della collocazione del monumento in prossimità della porta dedicata a Giano. Il collegamento allegorico è probabilmente sottinteso o richiamato nella nostra fontana dal diverso orientamento delle due anfore. La giovane figura è colta mentre ruota la testa in direzione della spalla destra, lo sguardo appare diretto verso una dimensione lontana, il nudo atletico e il bel volto incorniciato dalla chioma arricciata, definita a piccole ciocche, rimandano ai tratti distintivi tipici del mito adolescenziale di Ganimede, antica e tradizionale personificazione della costellazione dell’Acquario. La connotazione simbolica del mito è altresì espressa dal particolare assetto della figura caratterizzata dall’importante divaricazione delle gambe, di cui una flessa, e dalla salda posa a cavallo del globo.
Il Grosso Cacopardo (1826), infatti, che individua la fontana nella piazzetta di “San Sebastiano” così la descrive: «( …. ) s’innalza il Fonte marmoreo d’ottimo disegno, ornato colla statua forse di Ganimede, opera delicatissima di Rinaldo Bonanno Messinese, sebbene molto danneggiata dagli anni».
Ganimede nella tradizione letteraria e mitografica era ritenuto il più bello dei mortali, figlio del re Troiano Troo, proprio in ragione della sua prestanza fu rapito da Giove che trasformatosi in aquila lo portò con sé nell’Olimpo, dove diventerà il coppiere degli dei. Sarà proprio Giove a collocare in cielo Ganimede in qualità di Acquario portatore di un’anfora, e in questo senso è narrato dai poeti come Ibico di Reggio, Orazio, Properzio e soprattutto da Ovidio nel decimo libro delle Metamorfosi. L’arte antica affronta frequentemente questo tema, tra gli esempi più indicativi citati nel bel catalogo della Marongiu, si segnalano il rilievo raffigurante il Ratto di Ganimede del II secolo d.C., Firenze, Museo Archeologico inv. 13724, e il mosaico romano con analogo soggetto del III secolo (Museo Nazionale Romano inv. 1241). La più antica personificazione di Ganimede con la costellazione dell’Acquario si riscontra comunque nel II libro dei Fasti di Ovidio, trasposizione che sarà ripresa negli Astronomica di Igino e Manilio (quest’ultimo astrologo di corte dell’Imperatore Tiberio) scritti nel I secolo d.C..
Il testo di Igino stampato nel 1499 per i tipi di Aldo Manuzio venne inserito in una raccolta di componimenti astrologici che ebbe una enorme diffusione tra Quattrocento e Cinquecento. Nelle mappe più antiche e nei codici miniati a soggetto astronomico il giovane coppiere appare frequentemente rappresentato in piedi con il tipico cappello frigio e nell’ atto di versare acqua da un’anfora. Successivamente questa iconografia accompagnata agli attributi della coppa e dell’anfora appare riportata nelle grandi raffigurazioni delle costellazioni, come quella affrescata nel 1537 da Giovanni Antonio da Varese detto il Verosino nella sala del Mappamondo a Palazzo Farnese (Caprarola). Nel XVI secolo il nostro Acquario è ritratto come un giovane che versa acqua, dunque nel momento finale della narrazione collegata al mito, quando cioè è trasformato in costellazione. Meno diffuso appare invece l’episodio coercitivo del rapimento da parte dell’aquila, nella sua evidenza più drammatica, spesso accompagnato dalla presenza di un cane che guarda in alto e abbaia per il ratto del suo padrone.
Nelle raffigurazioni artistiche del Cinquecento compare tuttavia una nuova evoluzione del tema iconografico, l’immagine di Ganimede legata agli aspetti astronomici e al segno zodiacale che lo identifica appare frequentemente raffigurata a cavallo dell’aquila mentre vola verso l’Olimpo, in atteggiamento di attiva partecipazione, quasi di comando, e dunque con significato antitetico al ratto. Questo aspetto iconografico appare per la prima volta all’inizio del Cinquecento in una interessante incisione di Giulio Campagnola, Vienna Grafiche Sammlung Albertina inv.1954.
Una interpretazione particolarmente significativa di questo soggetto, e vicina all’impostazione che assume la nostra figura di Ganimede, è rintracciabile in un bronzo del Museo del Bargello (inv. Bronzi 439) appartenuto a Cosimo I e attribuito a Niccolò Pericoli detto il Tribolo (1500-1558) in questo caso l’aquila descritta con estrema maestria assume una connotazione araldica e rappresenta un simbolo del potere imperiale collegato anche alla sfera politica fiorentina.
Il mito di Ganimede nella metà del XVI secolo condiziona la committenza e la produzione figurativa di molti artisti, soprattutto quelli della cerchia di Michelangelo, anche in ragione del suo significato erotico fortemente enfatizzato dal Buonarroti nei due famosi disegni: “La punizione di Tizio” e soprattutto “Il ratto di Ganimede”, Cambridge, Art. Museum, inv.1955.75 donati al nobile romano Tommaso de Cavalieri e da cui vennero tratte numerosissime copie e incisioni. Questa raffigurazione sarà tuttavia bandita nella seconda metà del Cinquecento a causa della censura imposta dal Concilio di Trento.
Il nostro accattivante e giovane Ganimede si caratterizza appunto per la fiera bellezza del viso, per l’attenta e morbida resa anatomica del giovane corpo bilanciato secondo i canoni della scultura classica e in osservanza agli schemi tipici del “contrapposto”. La leggera rotazione del busto verso sinistra mette in evidenza i muscoli pettorali, l’arcata epigastrica, e l’addome, ma tutte le sezioni muscolari sono espresse con un rilievo morbido che non appare mai esasperato. La posizione divaricata delle gambe, con quella sinistra piegata che avanza verso lo spettatore appare una chiara citazione influenzata da suggestioni michelangiolesche e montorsoliane. La veduta frontale focalizza l’attenzione sulla bella anfora che sapientemente cela l’apparato genitale, descritto, comunque, con cura malgrado sembrerebbe destinato a non essere visto. L’impressione generale induce a ritenere che questa statua, proprio per la sua sottile e sensuale allegoria tematica, accessibile solo a una ristretta cerchia, era forse destinata in origine a una committenza privata, fortemente consapevole delle dottrine neoplatoniche rinascimentali. La scultura, a nostro avviso, appare strettamente collegata, sia sotto il profilo stilistico sia per i caratteri tecnici e forse anche per la tipologia del marmo impiegato, al rilievo raffigurante un Giovane con anfora, assegnato dal Vasari al Montorsoli e ritenuto da Alessandra Migliorato,
anche sulla scorta di una citazione del Susinno, una delle prime opere (1563) eseguite da Rinaldo Bonanno (Raccuia? 1545, Messina 1590) su disegno di Montorsoli. È possibile che il nostro Acquario, malgrado l’acclarata collocazione registrata nel 1602, sia stato prodotto nello stesso atelier del citato rilievo e verosimilmente all’interno della seconda metà del XVI secolo. Fortemente motorsoliana appare l’assetto della figura nella soluzione delle arti inferiori, come pure nella resa cedevole delle ampie sezioni muscolari definiti da morbidi trapassi del modellato, aspetto rilevabile anche nel marmo pertinente al Museo Regionale. Una somiglianza tutt’altro che marginale affiora dal confronto tra le sagome dei due volti con la fronte bassa caratterizzata in entrambi i casi da un grosso ricciolo centrale.
Ancora, sembra di scorgere nella posizione del braccio sinistro e nella mano che comprime la brocca una soluzione analoga a quella del Giovane con Anfora. L’impostazione di questo rilievo è stato giustamente messo in rapporto dalla Migliorato con il calco in cera di una figura maschile michelangiolesca che si trova a Casa Buonarroti.
Non è escluso che la statua del nostro Acquario palesasse nella configurazione originaria riferimenti più espliciti legati alla figura di Ganimede. In ogni caso proprio per la sottintesa allegoria 1’opera era stata forse condannata ad una damnatio memoriae, fino a quando nello scorcio del nuovo secolo sarà recuperata o acquistata dai Senatori, ricordati nella targa celebrativa.
Il fascinoso Ganimede viene così trasformato, probabilmente con qualche opportuna modifica sul globo, come sembrerebbe confermare la presenza dell’anfora più piccola posta d’avanti alla figura o il grande inserto triangolare scanalato che collega il piede sinistro, nel più morigerato “fonte di Jannò”.
Proprio in ragione delle innegabili affinità stilistiche e tecniche tra le due fontane, già rilevate dalla critica specialistica, la datazione della scultura di “Iannò” non va pertanto vincolata alla data di collocazione, di fatto avvenuta nel 1602, anno che ha previsto 1’assemblaggio dei pezzi, la realizzazione della vasca, del piedistallo e della targa. La lavorazione della statua è ragionevolmente avvenuta precedentemente e riguarda un artista che palesa, analogamente al Giovane con anfora sulle spalla, evidenti debiti michelangioleschi e montorsoliani e una equilibrata impostazione classica che in seguito non sarà più apprezzabile nella produzione scultorea di Rinaldo Bonanno.
Infine va osservato, anche se l’ipotesi è difficile da provare e necessita approfondimenti, che queste due fontane insieme ad altre oggi perdute, potevano far parte di una vera e propria mappa celeste, forse, riferibile a un preciso momento astrologico legato al cielo messinese con riferimento al mito di “Orione stellificato”.