Fontana della Ninfa

Piazza Umberto I, Castelvetrano

La fontana della Ninfa (o, nella parlata locale, “Ninfuzza di li cannola”) sorge in un cantone dell’antica piazza dei Commestibili, oggi Umberto I, che espletava funzioni civili e di rappresentanza, fulcro ove convergevano, e convergono tuttora i confini dei quattro quartieri (S. Giacomo, S. Niccolò, S. Antonino e S. Giovanni) in cui fu divisa la città, contrassegnati ancora oggi da altrettante lapidi.
La macchina idraulica, concepita a quattro ordini di vasche, è alta in tutto circa 10 metri. Tra la seconda e la terza vasca, e tra questa e la quarta, è inserito il motivo stilizzato della palma, con chiaro riferimento al testo della sottostante iscrizione. Lo stemma civico con la legenda Palmosa Civitas Castrum Vetranun è stato aggiunto alla fine dell’Ottocento.
In un apposita nicchia, sopra l’ultima e più alta vasca, una statua di marmo bianco rappresenta una ninfa seduta su una rupe: nella destra tiene un’anfora da cui sgorgava l’acqua copiosa proveniente da Bigini, che scendeva e si diffondeva nelle vasche sottostanti, e con la sinistra regge una cornucopia, simbolo di abbondanza. Il braccio destro della statua riporta a rilievo su una fascia la firma dell’artefice, il fontaniere napoletano Orazio Nigrone. Tra la prima e la seconda vasca è collocata la lapide commemorativa dell’imponente opera che, nel 1615, portò l’acqua in città, del cui testo si dà la traduzione:

“A Dio Ottimo Massimo
Essendo re Filippo III,
e principe di Castelvetrano Giovanni d’Aragona.
La fonte Biginia alimentava Selinunte repentinamente distrutta
dopo la guerra punica e così dolente giaceva semisepolta; ora scorre gaiamente per Castelvetrano,
esultando poichè, se aveva già da tempo lasciato arida la palma dei Selinuntini, riprende ad irrigare
quella nuovamente feconda dei pronipoti discendenti dai veterani medesimi.
Giurati: Francesco Giovanni Mangiapane, Pietro Femia,
Giovanpietro Ferrerio, Pietro Palazzotto;
provvisori: Giuseppe La Poma, Vincenzo De Maio, Carlo Monteleone;
architetto: Orazio Nigrone. 1615.”

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